venerdì 23 febbraio 2007

Aforisma del giorno



Tieni duro!
(Cicciolina)

Haiku 9



Lo strano pesce
La ragazza che guarda
e io perplesso

Recensione Vero come la finzione

Che cosa pensereste se un giorno, mentre siete lì intenti come ogni mattina a lavarvi i denti, incominciaste a sentire una voce? Schizofrenia, certo. Ma se non lo fosse? E se in realtà la voce che sentite nel cervello appartenesse ad una persona che esiste sul serio, che in modo preciso, quasi che fosse Dio, riuscisse a descrivere minuziosamente le varie azioni e i vari pensieri che ora fate e ora vi turbano? Ma mettiamo caso che di fatto Voi non sappiate di chi sia la voce, ne tanto meno siete sicuro di non essere impazzito. Mettiamo però che ci sia qualcosa di totalmente strano in tutto questo, e che la voce sia la cosa meno bizzarra. La cosa che vi colpisce è il modo in cui la voce vocifera, ossia il modo in cui parla, un modo totalmente letterario, libresco, come se fosse il narratore della vostra vita, che guarda caso è una storia, una storia letteraria. E se voi foste dei personaggi di un libro e la vostra vita fosse semplicemente una storia abilmente narrata da uno scrittore che voi non vedete, che cosa pensereste?
Questa è la storia di Harold Crick, un agente del fisco solo e senza ambizioni, che vive scandendo il tempo e contando tutto ciò che gli circonda, fino a quando non sentì una voce.
Harold Crick ha fissato tutta la sua vita in orari, tutto per Harold è numerato, il tempo, lo spazio in cui si muove, le azioni che compie, le cose che mangia. I numeri fanno parte della sua esistenza. Ricoprono le pratiche del suo lavoro e invadono il suo quotidiano, tutto è un numero per Harold Crick. Un giorno però Harold sente una voce, chiara e pulita che descrive tutte le sue azioni, un narratore esterno onnisciente che condiziona la sua stessa vita. Così quando Harold parla ad un suo collega la voce narra la sua azione e quando Harold va a dormire come fa abitualmente alle 23:13 la voce dice “Harold va a dormire”. Da questo momento la vita di Harold cambierà radicalmente.
Dopo anni di ferie accumulate il capo ordina ad Harold di andare in vacanza, di prendersi un po’ di tempo, trascendersi attivamente per aprirsi al mondo (direbbe Merleaù-Ponty). Harold compra una chitarra, incomincia a vivere con un suo amico e conosce una ragazza. Ma ecco che le cose ricambiano, la vita di Harold, la storia del romanzo (o tragedia?) prende una brutta piega: mentre Harold è alla fermata dell’autobus che aspetta, la voce dichiara che da lì a poco, da quel momento di pausa, Harold sarebbe morto. Che cosa fareste voi se sapeste di stare per morire? Se una perfetta conosciuta che orchestra la vostra vita in pagine di inchiostro decidesse di punto e in bianco di porre una fine al romanzo e che questa fine coincidesse con la vostra morte? Carpe diem? E perché cazzo morire per una baldracca che manco conoscete? Già, forse la vostra vita fa cagare, forse nemmeno vita la si può chiamare, ma è vostra e di nessun altro e nessuno ve la può togliere per vezzi letterari, ne tanto meno una sconosciuta.
E così Harold “combatte”, cerca in tutti i modi di scoprire chi si cela dietro quella delicata voce femminile, cambia le sue abitudini, smette di andare a letto ad un certo orario, allontana i numeri, d’altronde oramai sta per morire.
Ma come spesso accade la paura della morte apre al risveglio della vita, ad una vita autentica, fatta di valori e non di numeri, vissuta con gli occhi aperti e non illudendosi di guardare campi di fragole all’infinito. Harold Crinck si appresta alla morte e rivive. L’angoscia della morte è il motivo della rinascita esistenziale di Harold che adesso è innamorato, che adesso suona la chitarra che adesso non è più solo e che adesso è ancora ora e adesso e ancora.
Ma di chi è la voce? La voce è di Kay Eiffel, una cometa col blocco della scrittrice che fa morire in tutti i suoi romanzi i relativi protagonisti. Ma Kay Eiffel è come Harold Crick, una donna sola e annoiata che scrive la vita più che viverla. Kay Eiffel vive nella sua scrittura, scrive e fuma, guarda la vita per cercare di stenderla nella carta, non per cercare di farne esperienza.
Alla fine Harold incontra Kay pregandola di non farlo morire, il finale potete capirlo da voi. Nonostante l’happy ending scontato il film è davvero carino, ben interpretato, ben narrato, e soprattutto carico di riflessioni. Ne butto giù solo 3. La prima, semplice, riguarda il classico rapporto arte e natura, e cioè, è la vita di Harold che imita il racconto di Kay oppure è questo a imitare. Il prodotto artistico imita la vita per cui di fatto le storie dei romanzi sono semplicemente copie delle storie della vita, e perciò sono esistiti, o andranno ad esistere, realmente da qualche parte i vari Raskolnikov, i Gatsby, i Corleone etc. oppure è la vita stessa che imita l’arte e quindi i Wilde, Stalin o Filippo Bellissima possiamo considerarli come copie di copie.
Seconda riflessione, più filosofica. E se noi tutti fossimo protagonisti di un romanzo, e la nostra vita fosse nelle mani di uno scrittore che agisce continuamente nel mondo a colpi di penna, cosa rimarrebbe del libero arbitrio. Alla fine Harold è libero? O forse la libertà di Harold, l’unica liberta concessagli, consiste nella capacità di influenzare lo scrittore? E se lo scrittore, come un dio lontano e trascendente non fosse conoscibile per tanto influenzabile, cosa rimarrebbe della libertà di Harold?
Riflessione terza, la fortezza solipsistica. Se noi fossimo personaggi di un romanzo e le nostre vicende e le persone che ci circondano fossero frutto della creatività letteraria dello scrittore, il mondo sarebbe ancora “vero”? La persona che mi è di fronte esiste in quanto esistente oppure è solo la configurazione di frasi scritte dallo scrittore? E se solo io fossi vero?
Al di là delle domande il film è davvero carino, e in fondo è questo che conta, no?

giovedì 15 febbraio 2007

L'uovo e la gallina: alle radici del dibattito sulla vita

Da che cosa trae origine un essere vivente? Come è possibile che due individui, accoppiandosi, generino una nuova vita? E’ forse in virtù di una materia indifferenziata che si originano ex novo gli esseri viventi, oppure questi stessi esseri sono già preformati nell’ovulo o nello spermatozoo?
Oggi, grazie agli studi della Biologia dello Sviluppo, sappiamo che il nuovo individuo si origina dall’unione di due elementi specializzati, i gameti: quelli maschili, spermatozoi, e quelli femminili, cellule uovo. Il legame tra genitore e figlio è dato quindi dalle cellule riproduttive. Queste cellule però sono piccolissime, talmente piccole da risultare invisibili all’occhio umano, così non fu facile stabilire che proprio dalla loro unione si otteneva il nuovo individuo.
La conoscenza che oggi noi abbiamo del concepimento e dello sviluppo embrionale è il risultato di un dibattito plurisecolare che vide contrapposti non solo due modi di considerare l’origine della vita, ma anche e soprattutto due modi di considerare la natura.
Ancor prima che l’occhiale galileiano si mutasse nell’occhialino, negli anni di Galileo e del giovane Cartesio il dibattito conoscitivo si era arenato su un affascinante problema della natura: l’origine della vita.
Nel 1651 William Harvey, famoso per gli studi fisiologici sulla circolazione del sangue[1], scrive le Exercitationes de generatione animalium in cui espone una concezione della vita di tipo preformista. La forma dell’individuo, dice cioè Harvey, preesisterebbe miniaturizzata nell’uovo. La forma viene, per Harvey, da una forma preesistente che si “converte” in agente efficiente sulla materia e rimane identica a se stessa, sebbene sia inosservabile durante tale conversione.
«Omne vivum ex ovo»[2], la vita nasce dall’uovo.
Venticinque anni prima della pubblicazione dell’Exercitationes de generatione animlium Galileo scrisse, in una lettera inviata al principe Cesi, presidente dell’accademia dei Lincei, di aver «messo a punto un occhialino che faceva apparire grandi le cose piccole»[3]. Nasce il microscopio. Nel giro di pochi anni grazie ad esso avvengono importanti scoperte, come il dotto pancreatico, le ghiandole di secrezione delle guance, i capillari etc. Alla luce di queste scoperte, vecchie teorie sul corpo umano vennero riviste. Il microscopio, l’occhialino, spinse lo sguardo al di là del visibile. Sono questi gli anni in cui si impone un idea di corpo come mirabile strumento meccanico.
Nel 1633 esce l’Homme di Cartesio, con lo schema di un embriologia meccanica. Il corpo viene interpretato sulla base del funzionamento meccanico dei suo organi. La macchina diventa il modello di spiegazione dei fenomeni del mondo vivente[4]. Nasce la iatromeccanica, cioè meccanica applicata alle attività di ricerca del medico-biologo. L’uomo creò la macchina e la macchina divenne l’uomo.
Tra i più grandi iatromeccanici del Seicento bisogna annoverare Alfonso Borelli di Messina. Nel 1681 viene pubblicato postumo la sua opera più importante, il De motu animalium in cui dimostra come le azioni reciproche tra osso, tendine e muscolo possano essere ridotte ad un sistema meccanico di pesi e contrappesi. L’analisi meccanica è rigorosa. Ma perché parlare di Borrelli parlando del dibattito sulla vita? Semplice, perché uno dei suoi allievi era Marcello Malpighi, anatomista, microscopista e soprattutto preformista ovista. Nel 1637 Malpighi scrive la Dissertatio epistolica de formatione pulli in ovo. In quest’opera lo studioso italiano osservò al microscopio che nella cicatrice di un uovo gallina non fecondato si poteva vedere già preformato il pulcino in miniatura. E’ la prova inconfondibile per Malpighi della bontà delle argomentazioni dell’ovismo.
La matrice del nuovo organismo è ancora cercata nell’uovo, lo spermatozoo non era ancora stato scoperto. Per questa scoperta si dovrà aspettare fino al 1677 quando uno scienziato olandese, Anton van Leewenhoeck in una lettera manoscritta inviata alla Royal Society annuncia di aver visto al microscopio «animali rotondi e dalla coda sottile dotati di grandissima mobilità»[5]. Come spesso accade ciò che porta ad una scoperta è l’imprevisto, e così avvenne per la scoperta degli spermatozoi. Il giovane Jan Ham, studente di medicina, si era recato da Leeuwenhoeck, che sapeva usare e costruire i migliori microscopi di tutta l’Olanda, con un campione di sperma prelevato all’uopo da un paziente che soffriva di gonorrea[6]. Analizzando col microscopio quel liquore il microscopista olandese aveva scorto per la prima volta «degli animali vivi, dotati di coda e incapaci di sopravvivere più di 24 ore»[7]. All’inizio si pensò ad una malattia, ma quando Leeuwenhoeck incominciò ad analizzare campioni di liquido seminale prelevati da pazienti sani allora capì che quegli «animalcoli spermatici» erano caratteristica di tutti i liquori maschili[8].
Con Anton van Leeuwenhoeck nasce l’idea che l’individuo si trovi già preformato non nell’uovo, come pensavano scienziati illustri come Harvey e Malpighi, bensì nello spermatozoo. Si trattava sempre e comunque di una teoria preformista a cui faceva di riferimento l’idea dell’individuo preformato miniaturizzato: l’homunculus. Da questo momento il preformismo sarà, o ovismo, per cui l’individuo, l’homunculus, si trova “inscatolato” – emboite[9] – all’interno della cellula uovo, o animalculismo, per cui l’individuo si trova all’interno del liquido seminale.



Figura 1. Esempio dell’homunculus secondo la teoria animalculista.

Bisogna anche considerare che il modello preformista oltre a fungere da cornice concettuale di tipo scientifico riposava su una concezione creazionistica della natura: Dio, all’alba dei tempi, creò tutte le forme viventi con un singolo atto e le rese capaci di riprodursi meccanicamente , senza dover intervenire continuamente. La preformazione è dunque un atto divino che coincide con la creazione, da parte di Dio, di germi preesistenti all’individuo adulto, che ne direzioneranno lo sviluppo futuro. Dio creando Adamo ed Eva creò i germi della loro stessa prole, germi già preformati in ogni loro parte, germi a cui non restava altro che crescere e svilupparsi fino a diventare nuovi individui maturi, ma senza che nulla si creasse. La vita era già presente, era già stata messa, come nel seme è già presente l’albero che andrà a formarsi.
Se l’individuo si trova preformato all’interno della cellula uovo (ovismo), e se tale individuo è femmina, allora al suo interno sono contenute a loro volta minuscoli individui che, se anch’esse femmine, al loro interno ne contengono altre ancora più minuscole, e così via, come una sorta di bambola matrioska che prosegue all’infinito. In altre parole, per i preformisti ovisti nelle ovai di Eva era contenuto l’intero genere umano. Per gli animalculisti invece fu Adamo a generare l’umanità, cosa provata dopotutto dal fatto che fu Adamo stesso il primo ad essere stato creato. E così nel XVII secolo il dibattito tra animalculisti e ovisti diventa il dibattito tra chi sosteneva Eva e chi Adamo, chi l’uovo e chi la gallina alle spalle dell’uovo. Da una parte Malpighi e Harvey a favore di Eva e dall’altra Leeuwenhoeck e il suo discepolo Hartsoeker a favore di Adamo[10].
Nonostante l’importanza della scoperta di Leeuwenhoeck, nel XVIII secolo la tesi ovista fu nettamente predominante su quella animalculista, specie in Italia. Comunque l’individuo, e per l’uno, e per l’altro, si formava attraverso generazione e non fecondazione, nel senso dell’unione di due germi. O era per la cellula uovo o era per lo spermatozoo, e questo significava molto semplicemente che chi credeva in una teoria non poteva credere nell’altra. L’idea di generazione come fecondazioni nascerà solo nell’Ottocento, con le ricerche dell’embriologo Oscar Hertwig sulle uova del riccio di mare. Ma prima di Hertwig e prima del nuovo secolo fu Lazzaro Spallanzani a riconoscere l’importanza del contatto diretto dello sperma con le uova per ottenere la fecondazione di queste ultime, dove l’embrione esisterebbe preformato[11]. Con Spallanzani si chiuse quindi il dibattito tra ovisti e animalculisti rimanendo comunque all’interno di un discorso preformistico.
Tra le righe del preformismo si legge l’ambizioso progetto di ricondurre il testo biblico entro i ranghi di un ordine meccanicistico e razionale: tutti gli esseri viventi si inseriscono in uno schema preciso, che spiega le loro affinità e differenze, in obbedienza a quelle leggi con cui Dio, nell’atto di dare una forma alla natura l’ha sapientemente regolata. L’esponente più importante del creazionismo fu lo svedese Carl Linnè. Per il botanico Linneo le specie sono fisse e immutabili poiché ogni forma è stata prodotta da Dio nel momento della creazione. Tutto il lavoro di Linneo si può leggere come il tentativo grandioso di catalogare e ordinare tutte le forme viventi all’interno di una concezione della natura ordinata e finalistica.
Tutto questo però mal si adattava allo spirito del secolo dei lumi, d’altronde, come poteva mai adattarsi l’idea di una natura statica e immutabile al secolo del dio Progresso? Per gli illuministi fu quindi necessario superare il preformismo, abbandonare l’idea meccanica e considerare la natura in modo dinamico. L’uomo smise di essere una macchina e la vita divenne processuale e funzionale.
Fu in questa nuova visione del mondo e dell’uomo che nacque l’epigenesi, la nuova teoria della generazione che andrà a sostituire quella preformista. Nel 1759 Caspar Friedrich Wolff scrive la Teoria della generazione in cui afferma, grazie alle osservazioni microscopiche degli organi delle piante e dell’embrione del pulcino, che gli organi di un essere vivente non sono preformati nell’ovulo o nello spermatozoo ma si originano ex novo in base a cause insite nelle dinamiche dello sviluppo stesso. Si tratta di una teoria che offre il vantaggio di riconoscere alla natura una sua propria azione e che, servendosi quanto meno possibile del soprannaturale, lascia alla natura tutto ciò che seguisse al primo incominciamento[12].
Il bisogno epigenetico, un bisogno filosofico nato dall’esigenza di considerare diversamente la natura, diventerà acutissimo con Buffon e Lamarck. A poco a poco l’idea di natura linneana statica e immutabile andrà a sgretolarsi. Con Lamarck le specie si modificano per influenza dell’ambiente, con Cuvier le specie di Linneo vengono sostituite con gli embranchements, i tipi zoologici. La natura ha definitivamente cambiato aspetto, ma cosa rimaneva della genesi dell’uomo?
Oggi, grazie ad una serie di studi , che vanno dalla genetica alla biochimica e all’embriologia, sappiamo che il nuovo organismo è in grado di raggiungere la sua struttura definitiva attraverso un processo dinamico di successive trasformazioni, il cui programma si trova precostituito nel suo patrimonio ereditario. Se da una parte sia epigenesi che preformismo furono due modi altrettanto sbagliati nel considerare il processo generativo, di fatto entrambi avevano ragione: i preformisti, poiché le strutture di attivazione genetica costituiscono una sorta di mappa del futuro organismo; gli epigenisti perché si è scoperto che le interazioni tra popolazioni cellulari e i fattori ambientali, non sono riducibili a delle semplici influenze sul corso di sviluppo determinato dai geni[13].
In conclusione, si può considerare il dibattito tra preformisti ed epigenisti come un discorso complesso sull’origine della vita che riguardò il modo stesso di considerare la natura , un dibattito in cui si contrapposero non solamente diverse concezioni scientifiche, mediche o biologiche ma anche e soprattutto ispirazioni filosofiche e teologiche.


[1] W. Harvey, Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, 1628
[2] W. Harvey, De generatione animalium, 1651
[3] G.Galilei, Lettera a Federico Cesi, in Il carteggio Linceo, Roma, G. Gabrieli, 1996, pp. 964
[4] Nel 1747 esce l’Homme machine di Julien Offroy de la Mettrie in cui si espone l’idea dell’uomo come gigantesco e complessa macchina, una sorta di grande orologio meccanico.
[5] A. Leeuwenhoek, Epistolae ad Societatem Regiam Anglicam,Lugduni Batavorum, 1719, p. 123
[6] A quel tempo con gonorrea si indicava la perdita involontaria di seme
[7] A. Leeuwenhoek, , Epistolae ad Societatem Regiam Anglicam,Lugduni Batavorum, op. cit., p. 123
[8] Non tutti riconobbero gli studi di Leeuwenhoeck, Antonio Vallisneri per esempio nell’opera istoria della generazione del 1721 nega la veridicità degli animalcoli spermatici
[9] Emboitè ed emboitment sono termini che appartengono al lessico settecentesco del preformismo
[10] Ovviamente Malpighi, Harvey, Leeuwenhoeck e Hartsoeker sono presi a carattere esemplificativo, all’interno del dibattito furono di scena moltissimi altri medici e biologi illustri.
[11] Spallanzani, Lazzaro, Prodromo di un’opera da imprimersi sopra le riproduzioni animali, Modena, nella Stamperia di Giovanni Montanari,1768
[12] La teoria epigenista sarà accettata anche da Immanuel Kant.
[13] L’embriologo Waddignton parla di “paesaggi epigenetici”

domenica 4 febbraio 2007

Aforisma





Morì stupidamente...Era un eroe

sabato 3 febbraio 2007

Recensione "La ricerca della felicità"



Come definire La ricerca della felicità? Edificante? Semplice ma dalla solida morale? Già, la morale, e non mi stupirebbe che la maggior parte delle persone che l’hanno visto considerino il film “morale”. Cerchiamo però di essere obbiettivi e non lasciamoci ingannare dalle varie sviolinate melense, dai piagnistei dei vari mocciosi e dalla situazione di povertà drammatica, questo film è immorale o meglio, è intriso di una moralità tutta americana, ma ricordiamoci sempre di una cosa: non è il sole che gira intorno alla terra, è l’opposto.
La Ricerca della felicità è un film luterano. Capiamoci. Il film parla di un povero nero disgraziato che ha investito tutti i suoi soldi in un progetto stupido ritrovandosi così in una situazione di precariato. La moglie incomincia a non sopportare più la debolezza economica in cui è caduta a causa degli investimenti sciagurati del consorte così alla fine decide di lasciarlo per ripartire da zero, resettare tutto e iniziare una nuova vita. Piccolo problema: il marmocchio. Il giovane disgraziato si prende carico del figlio e inizia a coltivare un progetto lavorativo nuovo: diventare un broker. Come mai proprio il broker? E qui viene il bello! Mentre coglionava in giro per la città il povero disgraziato vede un uomo con una bellissima macchina lussuosa, dei bellissimi vestiti e dall’aria felice. “Cazzo quest’uomo sembra avere tutto quello che un uomo desidera” pensa il povero pirla.
“Hey tu, che lavoro fai?”
“Faccio il broker”
Il broker…diventare ricchi, ma certo ecco cos’è la felicità. La felicità è ricchezza! Elevatemi alla porpora, a me la corona d’oro a me i diamanti, io ti venero, Denaro. Perché non ci ho pensato…è così semplice, più si è ricchi e più si è felici, non c’è molto da capire…eppure non ci ho pensato, come mai? Semplice perché è falso.
Ma ritorniamo al film. Il povero coglionazzo si fa un culo quadruplo per poter diventare finalmente un ingranaggio della robusta macchina sforna soldi dello zio Sam e alla fine di un periodo di sacrifici riesce a farsi assumere come broker da uno dei più importanti centri di transizione della città. La scena finale riprende un Will Smith (nella parte del povero disgraziato) tutto sorridente che cammina con il figlio, la felicità è arrivata, Will ora è ricco.
Perché questo film è un film luterano? Per un motivo basilare, la ricerca dell’uomo viene ridotta al successo produttivo. Sei la ricchezza che produci. Lutero avrebbe detto: “Il tuo successo economico è segno del fatto che Dio è con te”. L’economia americana si basa proprio su questa con-fusione tra la dimensione etica-religiosa con la dimensione economica. Parlare di soldi, il fare soldi per un americano non è una cosa bassa, è una questione religiosa. Il problema però è chiaro, ridurre la felicità alla ricchezza economica è del tutto fuorviante. Se così fosse non si spiegherebbero i suicidi da parte di persone facoltose e non si spiegherebbe nemmeno la felicità di molti poveri. Certo, se la felicità è ricchezza allora chi non è ricco è infelice, però ci sono molti poveri che nonostante la povertà sono felici.
Ma allora cos’è la felicità? John Stuart Mill disse una volta: “Chiediti se sei felice, e non lo sarai più” Cosa voglio dire con questo? Quello che voglio far capire è che la felicità non è riducibile a niente, non può essere identificata ora con questa e ora con quest’altra, e forse disse bene chi una volta disse che la felicità è solo un modo di vedere. Un modo di vedere, non una cosa, ( Nietzsche direbbe“Una sensazione”). Il denaro non è nient’altro che una maschera.
Certo che deve essere tanto piaciuto agli americani l’immagine del protagonista, l’emblema del sogno americano, l’uomo che si è fatto da solo (self-made man), e poco importa se nel mondo migliaia di broker si fanno di cocaina e devono per far fronte alle pressioni del loro lavoro, sono felici! Ma ecco qual è la mia immagine dell’uomo fatto da solo


In America il film ha fruttato circa 153 milioni di dollari mentre il Italia circa 11…sono tanti soldi, chissà se Muccino è più felice ora che è più ricco.

giovedì 1 febbraio 2007

Pensiero del giorno



Veronica Lario in Berlusconi scrive a Repubblica: <<Mio marito mi deve pubbliche scuse>>
E' in prima pagina...e poi si lamentano che nessuno compra più i giornali