sabato 31 marzo 2007

Recensione Agostino

Spesso la bellezza di un film non si misura dal suo successo ai botteghini, Agostino è uno di questi casi. Quando nel 1962 uscì la critica e il pubblico stroncarono unanimemente l’importanza e la profondità del suo messaggio, non è un caso: Agostino è un film difficile da apprezzare, non perché sia inapprezzabile, tutt’altro, ma perché al posto di “parlare” allo spettatore, decide di sottintendere. Nulla è diretto e visibile in Agostino ma tutto si nasconde in zone d’ombramento. E’ un quadro velato, un opera da svelare, una musica silenziosa difficile da comprendere, un sogno da interpretare.
Agostino non è semplicemente la storia della perdita di innocenza di un ragazzino di tredici anni in vacanza al mare con la madre, Agostino è un film blakiano. Quello che traccia Bolognini nel film, quello che traccia Moravia nel suo libro, è il rapporto dialettico storicamente determinato tra l’Innocenza e l’Esperienza. Agostino all’inizio del film rappresenta l’innocenza dell’agnello, la candidezza tipica della sua condizione, la trascendenza pura del suo essere che guarda il mondo senza malizia. Agostino è un bambino smaliziato, puro e innocente che si ritrova necessariamente a percorrere il cammino dell’esperienza. Significativo è il suo nome: Agostino. Si tratta di un nome che volutamente strizza l’occhio al filosofo di Ipponia, Sant’Agostino. “Signore dammi castità e continenza ma non subito” con queste parole Agostino, il santo, può essere preso a simbolo dell’uomo dell’esperienza. Sant’Agostino è l’esatto inverso dell’Agostino di Bolognini, un uomo cioè che passa dallo stato esperienziale a quello dell’innocenza e della santità, l’inverso proporzionale di Agostino che passa da una condizione pura ad una corrotta e “maligna”.
Per capire Agostino bisogna svelare il quadro, bisogna tendere le orecchie al silenzio della sua musica, bisogna comprendere cioè i quadri concettuali del rapporto antinomico tra Innocenza ed Esperienza.
L’innocenza abbiamo detto è la condizione di purezza di cui l’agnello è simbolo. Questa condizione è storicamente individuata nella storia umana della fanciullezza e nella storia divina dello stato edenico. Agostino è Adamo prima di aver mangiato la mela. Cromaticamente questa condizione si caratterizza dalla purezza del colore bianco (significativo a riguardo è il modo di vestirsi di Agostino, sempre sobrio nel suo abbigliamento bianco). Da un punto di vista classista, nel senso di classe economica di tipo marxiano, l’Innocenza è rappresentata dalla classe borghese. Agostino è ricco, la sua famiglia è agiata, vive bene, non ha bisogno di preoccuparsi di faccende economiche. La borghesità di questa condizione riflette lo sguardo disinteressato del ricco nei confronti delle ansie del mondo, è la pipa che fuma, non l’industria che inquina, è lo sguardo dalla finestra che guarda l’operaio sporco a lavorare, da qui il bianco del borghese, la sua pulizia.
L’Esperienza è invece è la condizione della corruzione di cui la tigre è il simbolo. E’ lo stato storico umano della vita adulta e divino del peccato adamico. Cromaticamente si caratterizza con il nero del carbone dell’industria (significativo a riguardo è la figura del negretto, l’unico tra l’altro tra i “bambini corrotti” a indossare abiti diversi, come a voler essere distinto a modello). La classe d’appartenenza dell’adulto è la classe operaia-proletaria. E’ il sudore della fronte di Adamo dopo aver peccato, è il fumo della canna dell’industria pesante, è lo sporco del corpo e dello spirito, è la tigre dal divampante fulgore.
Agostino è in vacanza con la madre. La vacanza rappresenta la spensieratezza, l’assenza del lavoro tipica della condizione innocente. Le nuvole però sono all’orizzonte e questo sta ad indicare un cambiamento esistenziale. All’inizio Agostino è legato alla madre come da un cordone ombelicale. Il rapporto di Agostino per la madre è ambiguo, lui è innocente e non vede sua madre come una donna, dall’altro canto la madre è affettuosa fin troppo con il suo bambino. Il rapporto madre-figlio viene spezzato dall’arrivo di un uomo. Agostino fin dall’inizio è turbato da questa situazione, si ritrova geloso verso la madre, ma non si tratta di una gelosia di tipo sessuale, è la gelosia possessiva tipica del rapporto edipico. Si tratta di un complesso, quello edipico che richiede per la sua struttura una specifica triangolarità. All’inizio Agostino è solo con la madre, del padre non si sa molto, probabilmente è morto. Con l’arrivo del pretendente della madre si creano le premesse per il complesso. Secondo il modello freudiano Agostino sviluppa assai precocemente un investimento oggettuale per la madre, investimento che prende origine dal seno materno e prefigura il modello di una scelta oggettuale del tipo "per appoggio"; del padre il maschietto si impossessa mediante identificazione. Le due relazioni per un certo periodo procedono parallelamente, fino a quando, per il rafforzarsi dei desideri sessuali riferiti alla madre e per la constatazione che il padre, in questo caso “l’altro” costituisce un impedimento alla loro realizzazione, si genera il complesso edipico. L'identificazione col padre - l’altro assume ora una coloritura ostile, si orienta verso il desiderio di toglierlo di mezzo per sostituirsi a lui presso la madre. Per Freud dalla risoluzione del complesso di Edipo dipendono: 1) la scelta dell'oggetto d'amore che, dopo la pubertà, compie degli investimenti che richiamano le identificazioni e le minacce inconsciamente avvertite all'epoca del complesso; 2) l'accesso alla genitalità che non è garantita dalla semplice maturazione biologica, ma richiede l'organizzarsi di tutte le pulsioni intorno a quel "centro" che è il fallo; 3) la strutturazione della personalità e in particolare delle istanze del Super-io e dell'ideale dell'lo. Per Bolognini, e ovviamente per Moravia, il complesso edipico rappresenta le condizioni di possibilità per uscire da uno stato edenico e fare l’ingresso nel mondo dell’Esperienza.
E’ grazie al rapporto edipico che si crea nella triangolarità Agostino – madre – l’atro, che il giovane ragazzo arriverà a conoscere i “bambini corrotti” della spiaggia. Si tratta di un gruppo di bambini già cresciuti, già grandi, che hanno colto il malum dall’albero della Conoscenza e che ruotano attorno ad un adulto vero, il bagnino omosessuale. Sottolineo il fatto che per molti psicoanalisti sono le madri i responsabili della omosessualità dei loro figli (e Agostino è un film che gioca tutto sulla ambiguità del rapporto madre e figlio). Basti pensare alla teoria del “cocco di mamma” di Bieber. Secondo Bieber la maggior parte dei genitori-H (parents of homosexual patients, ossia genitori di pazienti omosessuali) considerati nel suo studio, viveva una relazione coniugale insoddisfacente. La maggioranza delle madri-H (madri di pazienti omosessuali) intratteneva con il proprio figlio-H una relazione troppo intima e vincolante. Nella maggior parte dei casi, si trattava del figlio preferito... in due terzi dei casi, la madre affermava chiaramente di preferire il figlio al marito, e si alleava con il figlio in caso di opposizione al coniuge. Nella metà delle situazioni analizzate, il paziente era il confidente della madre.
Il bagnino rappresenta due cose:

1. Il peccato e la corruzione tipiche dell’Esperienza. E’ omosessuale e anche pedofilo
2. Il possibile destino di Agostino e che Agostino cerca in tutti i modi di respingere. Significativa è la scena della barca. Agostino e il bagnino sono su una barca, ad un certo punto il bagnino cerca il contatto con Agostino. Nel film la scena è tutta velata. Il contatto del bagnino con Agostino non è solo di tipo sessuale, il contatto ha un significato simbolico, è il possibile destino di Agostino. Quando Agostino respinge il bagnino dal suo tentativo “iniziatico” e arriva alla spiaggia i bambini corrotti scherniscono il povero giovane imputandogli la sua presunta omosessualità. Il carattere iniziatico è presente in un'altra scena del film e cioè quando Agostino viene battesimato alla fonte del peccato per fare così il suo ingresso ufficiale nel gruppo dei corrotti, rimanendo però sempre distante da esso. Agostino non si sente nel gruppo perché non lo è. E’ corrotto ma non gode di questa corruzione, anzi, cerca di respingerla.

E’ interessa notare come Bolognini, e Moravia, giocano con il contrasto tra Agostino e i bambini corrotti. Agostino è puro, pulito e sobrio nel suo modo di vestire, caratterizzato da vestiti bianchi. I bambini al contrario sono sporchi e trasandati. Agostino parla un corretto italiano senza inflessioni dialettali che caratterizzano invece i bambini corrotti. Agostino non dice parolacce al contrario del gruppo del bagnino, e questo perché la parolaccia rappresenta sia una volgarità dei modi e sia una forma di emancipazione.
Alla fine del film si vede un sogno di Agostino. C’è una porta, un tunnel e la madre sullo sfondo, un cancello che viene aperto, un silenzio totale rotto dalle urla dei bambini corrotti, il negretto che viene sottomesso così come la madre. Alla fine Agostino si sveglia e guarda sua madre, che dorme indifferente dal turbamento di suo figlio.
Gli elementi del sogno sono simboli da svelare. Il tunnel rappresenta il percorso di Agostino, il cancello che si apre rappresenta l’ingresso di Agostino verso il mondo dell’Esperienza. Il silenzio assoluto la condizione di indifferenza e mancanza di malizia verso gli oggetti della condizione edenica precedente. Questo silenzio viene rotto però dal frastuono urlante della corruzione rappresentato dai bambini corrotti. La corruzione è caratterizzata dal nuovo sguardo sul mondo, lo sguardo sessuale: il negretto e la madre vengono così sottomessi. Infine è significativa la scena della madre che dorme indifferente, l’indifferenza che lo stesso Agostino ha perso nei confronti della madre e che ora cerca di ritrovare “con un'altra donna da amare”.

mercoledì 28 marzo 2007

Metafore metasimboliche



Sei la neve tra le mie mani

sabato 10 marzo 2007

Madonna che al cor mio angel parea

Madonna che al cor mio angel parea,
che al suon dell’aere tutto il firmamento
e le stelle e la luna movea,
che trascina seco il mio sentimento.

Dinnanzi a voi il cor mio tremar solea,
e il dardo d’amor nel rimembramento
di un basìo promesso goder potea
in vista del lauto riscattamento.

E Voi da lassù con sguardi di ghiaccio,
mi getti e mi attingi in getti gelanti,
che la tua promessa si vuol sperdea.

Ora lo attendo e chino in terra giaccio;
il desio mi avvampa come in amanti
del bacio di colei che io volea

mercoledì 7 marzo 2007

La fatica inutile

Questo scritto è ispirato ad una discussione avvenuta pochi giorni fa tra me e un mio caro amico. Al centro del discorso stava il fraintendimento comune e generalizzato di considerare la vita affettiva, e più in particolare l’amore, come un cammino a tappe, una scalata di raggiungimenti finalizzati a scopi chiari e precisi. La visione lungimirante del mio amico mi ha spinto ad un furto intellettuale, ho voluto cioè “rubare” le sue idee per farne mie e dare una struttura più architettonica al discorso. Spero che il mio amico possa perdonarmi. Questo tema l’ho sentito molto vicino perché io, per primo, ero caduto nell’errore e solo ora, risvegliato, chissà come e chissà perché, vedo la cosa perspicuamente.


L’errore comune è quello di considerare la conquista amorosa come un videogame. Ora faccio x, ottengo il bonus y così da poter arrivare a z. Si pensa che per far innamorare la ragazza o il ragazzo in questione si possano mettere in atto una serie di strategie; “fare tutto il possibile” per ottenere il bonus y. Esco con una ragazza, le pago la cena, faccio il simpatico, fingo interessi comuni. Faccio tutto questo perché penso che possa farmi acquistare punteggio, come un videogame. Ragiono ipoteticamente: “Se pago la cena, faccio il simpatico e fingo interessi comuni allora ho più possibilità di conquistarla”. Questo ragionamento veicola una precisa concezione del mondo affettivo e cioè pensare ad esso come regolato dalla causalità. Causa: pago la cena – effetto: conquista della donna. Oltre a vedere una legalità causale il modello ingenuo affettivo si basa sull’idea che ognuno può ottenere tutto, la cosa essenziale è mettere in atto le giuste strategie. La vita affettiva è così ridotta ad una serie di tecniche amatorie: “Cosa dire al primo appuntamento”, “I mille modi per conquistarla con il cibo” e via discorrendo. Si tratta, si badi bene, di una concezione promossa anche in campo cinematografico, e non serve scomodare Hollywood per fare qualche esempio. Mi viene subito in mente “La vita è bella” e in generale tutta l’ultima filmografia di Roberto Benigni. L’amore come fatica utile, è questo il messaggio del comico toscano. Se ami qualcuno e se sei disposto a tutto per il suo bene allora tua è la donna. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Il mondo affettivo è un mondo causale? Tutti possono ottenere tutto? L’amore è una conquista strategica?
Supponiamo che un ragazzo single esca tutti i sabati sera oltre che per divertirsi come un g-giovane che si rispetti, anche nella speranza di poter trovare una ragazza. Il suo ragionamento è “se aumento le uscite serali aumento anche le possibilità di trovare una disperata con cui uscire”, un tipico ragionamento matematico che si basa di conseguenza su una concezione causalistica del mondo.
Supponiamo che un a altro ragazzo single non interessi di uscire ogni sera, magari è uno di quelli che non ama nemmeno uscire molto, che ama la tranquillità e la vita semplice. Supponiamo che una sera questi due ragazzi single si ritrovino nello stesso locale. Il primo ragazzo continua ancora a pensare “magari stasera è la volta buona”, mentre il secondo è lì e basta, si preoccupa solo di divertirsi. Forse il secondo non esce da un mese eppure quel giorno, quella sera, trova la ragazza della sua vita, senza pensarci, senza programmi e strategie, per puro atto fortuito. Il primo invece sta ancora lì, nel locale, solo e in cerca di donne.
Ovviamente si tratta solo di un esempio teorico ma spingo chiunque a dimostrami il contrario. Facciamo ora un passo in avanti e proviamo a capire, sempre in maniera del tutto ipotetica, i motivi per qui il secondo ragazzo ha avuto più chances nel trovare una ragazza. Come? Abbiamo detto che è stato un atto fortuito, che c’entrano allora i motivi? Se è un atto fortuito allora non esistono motivi. Pensare a dei motivi equivarrebbe ritornare in una posizione ingenua di affettività causale, ma noi abbiamo proprio respinto le ragioni di questa visone. E ora si parla di motivi?
Se l’amore fosse solo il risultato di atto fortuito, privo di senso e di speranze allora a che scopo il primo appuntamento? A che scopo parlare, provarci, vivere l’amore? L’amore è un atto fortuito allora devo solo aspettare che arrivi, non devo fare altro. E’ la deriva attendistica-rassegnistica, per cui non faccio nulla e mi rassegno di tutto. Ma il modello nichilista dell’amore è tanto sbagliato quanto quello ingenuo-causalista. Dire “tutto ha un senso” e dire “nulla ha un senso” equivale dire la stessa cosa. Il nichilismo più puro è di fatto un razionalismo assoluto. Non esiste un senso assoluto quanto un non-senso pervasivo ma esiste un senso nel non-senso che salva i “motivi del cuore” in una razionalità che non è quella classica del mondo naturale, ma è, per così dire, una razionalità che si staglia in una cornice di irrazionalità. Detto così sembra un discorso merleau-pontiano, in realtà il discorso è molto semplice.
Prima di affrontare il tema del razionale affettivo nell’irrazionale del sentimento è opportuno analizzare che tipo di relazione si crea nel rapporto di conquista.


La donna si deve creare un immagine[1]. La femminilità si caratterizza come creazione ed esibizione di un immagine. Il trucco, la cosmesi, è finalizzato a questo. L’uomo deve catturare l’immagine che la donna gli esibisce. Nella letteratura il rapporto “esibizione – ricezione dell’immagine” è testimoniata da un lessico poetico volto a considerare l’immagine dell’amore (anche) come caccia e imprigionamento. Si fa uso di termini come laccio, distringere e freccia per indicare la caccia all’amore e alla donna. D’altronde nel linguaggio comune l’immagine dell’amore come caccia continua a sopravvivere in alcune espressioni, come per esempio “andare a caccia di donne”. La donna è la preda che esibisce un immagine e l’uomo è il cacciatore, colui che deve catturare la preda e godere della sua immagine. Il godimento dell’uomo è quindi un godimento estetico che passa attraverso la messa in scena della donna. L’estetica per la donna è fondamentale, l’accuratezza nel vestirsi e nel truccarsi non è un fatto neutro ma è il modo stesso in cui la donna si pone nei confronti dell’uomo. La cura che l’uomo di oggi ha di se stesso è un sintomo di come si avvenuto un ribaltamento di posizione. L’uomo da cacciatore è diventato coniglio, si trucca, si depila, sceglie con cura come vestirsi perché ora anche lui deve esibire un immagine. E’ la donna che oggi gode dell’immagine e spara col fucile. La donna emancipandosi ha subordinato l’uomo.
Ma ritorniamo alla nostra analisi. La posizione della donna è una posizione estetica. Questa estetica però è vincolata dalla morale. La donna è preda ma non deve concedersi al cacciatore a meno di voler passare come una sgualdrina. Per la donna la concessione deve rimanere un fatto privato, da nascondere al pubblico. Ma perché? Perché la concessione della donna è la sua morte. Concedendosi al cacciatore la donna consegna la sua vita e si mortifica. La morte però è pornografica, è scandalosa e per questo deve rimanere nascosto, nessuno deve parlarne. Al contrario, per il cacciatore la concessione della preda equivale al trofeo. L’uomo godendo della donna la priva della vita e la riduce in trofeo. Il trofeo è il simbolo del potere del cacciatore che, esibendo la pelle della preda, esibisce agli altri la sua superiorità . Per questo l’uomo tende a parlare delle sue conquiste.
Ovviamente la donna, come preda, sa delle intenzioni del cacciatore, sa che il suo interesse è volto al godimento eppure continua a mostrarsi come preda. Allo stesso tempo il cacciatore sa che per godere della preda deve nascondersi, deve camuffare le sue intenzioni, deve cioè nascondere il fucile. Si crea quindi un gioco di dissimulazioni. La donna deve ingannarsi per concedersi e il cacciatore deve presentarsi per quello che non è per far si che l’autoinganno della donna possa giungere a compimento. Entrambi ingannandosi ingannano. Il rapporto di conquista consiste proprio in questo gioco di dissimulazione. La donna si inganna cercando di vedere nel cacciatore il bravo ragazzo e il cacciatore per continuare l’inganno della donna nasconde il fucile della conquista presentandosi come uomo-non-di-armi. Di per se lo stesso concetto di bravo ragazzo è un concetto che non ha senso: la morale appartiene alla donna, non all’uomo. Il bravo ragazzo non è differente da quello di cattivo ma è diverso nel modo in cui si è posto nei confronti della donna. Il cattivo ragazzo è cattivo nel dissimulare, è lo schietto. Non esistono buoni e cattivi ragazzi, l’interesse dell’uomo è quello. Arriviamo ora a quei famosi “motivi” dell’esempio iniziale. Come è possibile che il secondo ragazzo non facendo nulla sia riuscito a trovare la donna? La risposta sta proprio nel rapporto di dissimulazione. Pensiamo per un istante a quando ci mettiamo insieme ad una donna? Subito inizia la sfilata della carne. Ragazze che prima non sentivamo da anni si fanno improvvisamente vive, come una legge di natura, il ragazzo fidanzato attrae le donne. Ma perché? Semplice, godendo già di una donna il fidanzato ha messo in vetrina il fucile, non è più un cacciatore ma diventa il vero bravo ragazzo. Per il ragazzo fidanzato ingannare le altre donne è naturale, non è più frutto di un artificio rituale. Il secondo ragazzo, quello dell’esempio, non avendo come fine la caccia della preda si pone come ragazzo fidanzato e cioè come il bravo ragazzo. Il primo ragazzo al contrario continuerà ad esibire il fucile non riuscendo a portare a compimento l’autoinganno della donna. Agli occhi della donna rimarrà sempre un marpione. Per questo ho parlato di motivi, non perché credo che l’amore agisca razionalmente, ma perché esiste una razionalità nella irrazionalità. La conquista è quindi una fatica inutile nel senso che non è un cammino a tappe avente una razionalità, ma è un atto fortuito faticoso.

[1] Qui faccio riferimento all’idea del femmineo e della costruzione dell’immagine di Bruno Corzino