giovedì 16 agosto 2007

Quel che mi sovvien a del mio cor rimembramento


Quel che mi sovvien a del mio cor rimembramento
Dell’aere fuggente, del sorriso tra la pelle
Di ogni momento atteso nel ripensamento
Di quando madonna mia amare mi velle

Adesso dal paradiso nell’infero scento
E di quei attimi di placito spiro solo
del dì ito una languida umbra memento
che asconde la vida come la nebula il molo

Tedio di vivere, sia questa l’amara sorte
Che ad ogni istante eterno tempo cumresponde
Tanto da appassir come una subitanea morte

Il palpito d’amor che pria a noi ci sopraggiunse
Or vivi nei mie sogni come labile dea
E nelle lucine notti il mio cor ti raggiunge

sabato 11 agosto 2007

Coito ergo sum

Mettiamo caso che il vostro pene vi parli e che a poco a poco prenda il controllo della vostra vita, cosa pensereste? Subordinati pure al vostro pene, sembra assurdo vero? Mettiamo pure caso che il vostro “arnese” sia gigantesco, enorme, sproporzionato nell’eccesso e che risulti più prorompente del vostro intero cervello. Un pene enorme e una testa piccola, come vi sentireste?
Non so voi ma io mi sentirei superiore a tutti gli altri uomini, eppure voi non riuscite a sentire un senso di superiorità, anzi, vi sentite addirittura inferiori, sottomessi a tutte le altre persone, nonostante le dimensioni del sesso.
Desublimati, ecco cosa siete. Così si sente Rico, il protagonista del libro Io e Lui di Moravia. Rico è un intellettuale, un uomo di cultura, un velleitario con aspirazioni registiche. Fisicamente non è un granché, diciamolo, è pure brutto: basso, calvo, grassoccio, non ha nulla di bello, eppure ha un uccello enorme, prorompente a tal punto che riesce pure a comunicare con il suo Io. “Lui”, il pene, è l’esatto contrario, è alto, longilineo e a differenza sua non ha nessuna aspirazione culturale, per lui conta solo l’azione. Rico rappresenta la sfera psicologica, la Ragione intesa leopardianamente come arresto, morte. Rico vive nell’ossessione del suo pene, sente che in lui si sia rotto qualcosa, si sente cioè scisso. Tra Rico e Lui esiste un dialogo. Rico non si parla, Rico parla all’altro, a lui. Io e Lui formano due persone differenti, non sono un Noi, sono un Io e un Lui che vivono ormai dialogicamente. Se fossero un Noi ci sarebbe solo un monologo ma niente monologhi nella vita di Rico. Da una parte la ragione, l’Io, la cultura quindi il pensiero quindi l’arresto e dall’altra la sessualità, Lui, la Natura quindi il corpo quindi l’azione.
Rico è un fallito, Rico si sente costantemente un fallito. Fallito nel matrimonio, separato da una moglie ormai irriconoscibile per quanto si sia lasciata andare; fallito nelle relazioni sociali, fallito a lavoro. Il senso di inferiorità è dovuto in lui dalla consapevolezza di essere un desublimato.
Che cos’è la desublimazione? Partiamo dalla sublimazione. Secondo Freud tutte le creazioni umane, la scienza, la filosofia, l’arte, etc. sono prodotte dalla pulsione sessuale benché sembrino molto lontane da questa loro origine. Ecco la sublimazione consiste proprio in questo mascheramento, nell’indirizzare tutte le nostre energie sessuali in ambiti considerati socialmente più utili. Il pittore quindi non è altro che un erotomane che al posto di darsi al sesso incanala tutta la sua passione fisica all’interno della creazione artistica. Questo nel sublimato. Ma Rico è un desublimato, Rico cioè non riesce più a incanalare la pulsione sessuale all’interno del campo culturale, tutto questo per colpa di Lui. La scissione che si è venuta a creare tra lui e Lui ha compromesso irreparabilmente la possibilità del mascheramento. Ecco perché Rico è un fallito, è scisso. L’unica possibilità per lui è ritornare all’unità. Rico e Lui litigano, non si accordano mai su nulla: Rico vuole fare una cosa ma Lui lo spinge per un'altra; se soltanto riuscissero a mettersi d’accordo allora la loro scissione troverebbe l’unità tanto agognata e l’Io potrebbe finalmente smettere di essere un fallito.

Il libro è molto divertente, i dialoghi tra Rico e il suo pene poi sono qualcosa di assolutamente geniale, certe disquisizioni sulla masturbazione e i feticismi hanno un non so che di brillante, ma il romanzo non è affatto frivolo e superficiale. Io e Lui è un romanzo molto serio, che discute sulla frattura dell’uomo moderno, su come oggi sia avvenuta una liberazione sessuale talmente liberativa che ha portato ad una palingenesi dei fini.
Nel 1969 Herbert Marcuse scrisse:

«La morale sessuale è stata liberalizzata in alta misura; inoltre la sessualità viene propagandata come stimolo commerciale, voce attiva negli affari e simbolo di status»

Siamo stati così liberati che la libertà stessa ha creato una prigione. Parliamo di sesso, fin troppo. Parliamo così tanto da risultare tutti come dei Rico, desublimati, ragione che lotta con il desiderio. Non si riesce più a sublimare le passioni, le passioni stesse sono diventate troppo palesi per poter risultare ancora appetibili. Una donna nuda non fa più gola, parlare di fellatio è ormai la norma.
Mi viene in mente “sex and the city”. Ho visto una puntata è per 60 minuti avrò sentito la parola vagina non meno di 60 volte. Vagina, vagina, vagina, vagina, sembrava quasi che si parlasse ci caffèlatte. “Come sta bene la mia vagina” – “Quanto è buono il caffèlatte” – “Ho la vagina bagnata” – “Scotta sta tazza di caffèlatte”.
Non voglio fare il moralista, non me ne frega niente se la gente ormai ama così tanto parlare delle loro vagine, il punto è un altro: più se ne parla e più si rimane imprigionati nella verbalità.
Vi ricordate le scuole medie? Chi non ha mai avuto come compagno di classe il caro Ciccio, quello con la scorta di giornalini porno nello zaino che sapeva così tante cose sul sesso che in confronto il ginecologo è solo un novellino alle prime armi? Il caro Ciccio, quello che parlava tanto ma capivi che mai aveva fatto, mai aveva osato.
La parola è il pensiero e il pensiero è l’arresto. Ho sentito parlare di “rivoluzione asessuale”, ecco il termine significa proprio questo, l’incapacità ora per i ragazzi nell’approcciarsi al di là di un livello verbale all’altro sesso.
Desublimati, prigionieri della nostra sessualità verbale.