martedì 2 gennaio 2007

L'oltre e l'ancora



Ieri notte era capodanno. Devo dire che fin da bambino ho sempre trovato questa festa come particolarmente triste, forse per via dei trenini, forse per l’inutilità dei botti. Ogni volta che penso alle feste di capodanno mi viene in mente l’immagine grottesca di quella che si trova in Fantozzi dove tutti gli impiegati ballano con i cappellini colorati di plastica trasparente e concludono il cenone con la polenta. Che tristezza infinita. Mi viene da pensare al concetto pascaliano di divertissement, il divertimento come diversivo, il “diversimento”. Ci divertiamo per non pensare alla nostra miseria, alla nostra condizione di esseri mortali, fragili e deboli. Ci divertiamo per eludere la nostra infelicità. La scena della festa di capodanno che si trova in Fantozzi è interessante per questo motivo: mette in scena la situazione del divertissement. La festa è divertente ma triste allo stesso tempo.
C’è qualcosa però di peculiare nel capodanno, una cosa che fa del capodanno una festa diversa da tutte le altre. Questa caratteristica è la trasgressione come regola. Di per se in ogni festa c’è una matrice di trasgressione, mi vengono in mente le feste di addio al celibato, oppure le feste di laurea. Ma perché il capodanno sembra così diverso da queste feste? E’ perché si festeggia l’anno nuovo? Non credo, anzi, sono convinto che il festeggiamento del nuovo anno sia solo un inutile cornice, d’altronde bisogna veramente essere stupidi se si è felici perché inizia un nuovo anno. Cambia qualcosa nella vita delle persone dal 31 dicembre 2006 al 1 gennaio 2007?
In realtà più ci penso e più capisco che il capodanno è la festa dell’oltre e dell’ancora. Avete presente quando al liceo si ritornava in classe dopo la pausa delle vacanze natalizie? Credo che a tutti sia capitato di sentirsi fare questa domanda: “Allora, cosa hai fatto a capodanno?” Si tratta di una domanda apparentemente ingenua e che non ha nulla a che fare con l’interesse che l’altro muove nei nostri confronti. Con questa domanda si pone una gara. In questa gara “vince” il più trasgressivo.
“Io ho fatto le 3”
“Io le 4”
“Io le 5”
“Ragazzi ho vinto io, non sono nemmeno andato a dormire oggi”
Ooooh, il re della notte che vince sul dato temporale. Ma non è solo quello il criterio per aggiudicarsi il titolo del “più trasgressivo”, c’è anche il criterio di scopata e di tasso alcolico. Il vincitore è sempre qualcuno che arriva a non dormire, ad essere ubriaco da fare schifo e che si è scopato la cicciabomba-nave scuola di turno. Ogni anno però la gara è sempre più agguerrita e così la trasgressione si spinge ai livelli dell’infinito, oltre e ancora. Bisogna superarsi, eccedere ancora, andare oltre. La trasgressione è proprio questo, un delirio dell’infinito. “Volli, ancora volli, sempre di più volli”. La trasgressione ci precipita nel baratro dell’eterno rimpiazzo. Il piacere deve essere superato da un altro di maggiore intensità, e ancora e ancora.
Ma questa trasgressione è noia perché nella ricerca di un piacere sempre più grande ogni grandezza risulta uguale a ogni altra, perché questo piacere è solo grande, nulla più. La trasgressione quindi è la noia consapevole di se stessa, consapevole del fatto che l’infinito ci è oltre e di conseguenza non ci rimane che il nulla.
Trasgressione viene dalla radice latina transgressus, da cui il participio passato trasgredi con il significato di “al di là”. Già etimologicamente possiamo capire come la trasgressione implichi una meta irraggiungibile, un punto inesistente che continua ad avanzare. Nella visione dell’impossibile raggiungimento della meta cogliamo il nulla, la noia che ci pervade. Questa noia è sia il motore immobile che muove il principio trasgressista sia il principio che ne alimenta la dinamica stessa.
Nell’impossibilità di appagarci pienamente la trasgressione si presenta come tras(re)gressione, un andar indietro e non avanti. Siamo un ruota che scende pensando di salire, siamo il nulla che ci circonda e il pensiero che cerca di non pensare a questo. Nell’oltre e l’ancora noi divergiamo la nostra condizione di ammalati, ci divertiamo per non pensare, trasgrediamo per evitare la noia.
La trasgressione entra anche nella sfera della sessualità. A tutti sarà capitato di incontrare il cretino di turno che inizia con la domanda più inutile di questa terra: “Qual è il posto più strano in cui hai fatto l’amore?” Che interesse può suscitare questa domanda? E in effetti a nessuno interessa dove tu o un altro siete andati a scopare, ciò che interessa è l’agone, la gara in cui vince chi l’ha fatto nel posto più strano, la gara in cui vince il più trasgressivo. Siamo così annoiati che oramai per eccitarci dobbiamo trasgredire sempre di più. Una volta bastava la visione di un paio di belle gambe per suscitarsi desiderio, ora tutto ci è dato subito e così tutto diventa noioso. Il vedo e non vedo ha lasciato spazio al “vedo e lo vedo”, le ragazzine esibiscono i loro organi sessuali con così tanta non curanza che questa visione è finita per non suscitare più alcun interesse. Si vedono più passere che colombe, da qui l’impotenza del maschio attuale. Siamo la generazione della rivoluzione asessuata, siamo uomini che non riescono più ad eccitarsi, manca il processo di eccitamento. Quando eravamo giovani il desiderio sessuale era il cammino che portavo l’uomo a spogliare la donna, ora che siamo vecchi la donna si spoglia subito e senza motivo. La nudità della donna è diventato un fatto noioso, scontato e prevedibile.
Per supplire a questa impotenza l’uomo deve trasgredire. Ecco spiegato il boom degli stupri di questo anno. Lo stupro rappresenta oggi per molti il tentativo di eliminare questa impotenza, il tentativo di sottomettere la donna e ribadire la propria mascolinità. Con lo stupro l’uomo cerca di mascolinizzarsi. Questa però è trasgressione (oltre che crimine) e come tale è inserito nella dinamica della tras(re)gressione. Lo stupro apre alla perversione che altro non è che la dinamica dell’oltre e dell’ancora nella sfera sessuale. Le perversioni sono impotenze sessuali scaturite dalla noia sessuale. Di questa noia e del tentativo di trasgredirla Søren Kirkegaard ne parla a proposito dello stadio estetico del Don Giovanni. Il Don Giovanni di Kirkegaard è l’uomo che vive una vita puramente estetica, è il seduttore che dedica la propria intera esistenza alla conquista dell'animo femminile per il puro piacere della conquista stessa. La sua vita è incentrata sul desiderio e sul godimento, la sua vita non esce dalla sfera della sensualità. Il seduttore vive nell'elemento dell'immediatezza: egli non compie mai una scelta definitiva,non si impegna mai in nulla, la sua filosofia è il motto graziano del "carpe diem".La vita dell'esteta è una successione ininterrotta di istanti indipendenti gli uni dagli altri:egli passa da un'esperienza all'altra senza che quella precedente lasci una traccia di sé su quella successiva,senza che la sua esistenza abbia una storia. L'unico elemento costante nella sua vita è la ricerca del nuovo e del rifiuto della ripetizione,considerata come fatale principio di noia. Il suo unico compito è la ricerca dell'eccezionalità, nell' esasperata volontà di diversificarsi da tutti gli altri individui,così come da tutte le proprie esperienza passate. Per Kirkegaard questa vita incentrata sulla ricerca della eccezionalità non può portare altro che alla disperazione e ad abbracciare una forma di vita non più estetica ma etica. La vita etica è quella del buon marito di famiglia, è la vita che pianifica e abbraccia la solidità della continuità. Egli conferma in ogni momento la sua scelta,tornando a scegliere in ogni istante ciò che ha già scelto per sempre. L'uomo etico, a differenza dell'esteta,non teme dunque la ripetizione,anzi la ama,vedendo in essa una continua riconferma della sua decisione iniziale.
Il secondo stadio, quello etico, nel nostro mondo non si da più, questo perché la vita oggi si è ridotta a estetica. “Se prima eravamo monadi, senza porte ne finestre, ora siamo noi stessi porte e finestre, esterni senza interno”. Manca l’interiorità, tutto è estetica, tutto e noia e trasgressione. Oltre e ancora.

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